lunedì 24 ottobre 2011

Recensione: The Savage Hawkman #1 (The New 52)

Questo è uno di quei casi in cui si può capire molto di una serie dalla copertina del suo primo numero. E cosa c'è sulla copertina di The Savage Hawkman #1?

C'è uno spettacolare Hawkman meravigliosamente decorato dall'arte di Philip Tan e dalla colorazione ed effetti di luce di Sunny Gho, dotato di un aspetto realmente selvaggio (come promette il titolo della testata) e poi... e poi non c'è più niente. Sfondo bianco.

Nessuna informazione su cosa si abbia intenzione di costruire attorno a Hawkman, nessuna indicazione su quale dei trascorsi retroterra mitologici si intenda adottare (L'antico Egitto? Il bellicoso pianeta Thanagar? Qualcosa di completamente nuovo?), nessun elemento che suggerisca chi sia l'uomo che indossa le ali di metallo "Nth".

Precisamente, l'uomo è di nuovo di Carter Hall, storicamente il primissimo alter ego di Hawkman. Ma è solo un nome, non un personaggio.

Contro i Doppelgangers dell'alieno
(per non farsi mancare nulla).
Il vuoto spinto della bellissima copertina riecheggia in ogni pagina dell'albo. A giudicare da quest'esordio la serie avrà un unico scopo e un unico tema: riconsegnare al nuovo universo DC l'icona Hawkman, con l'unica novità che le ali non sono più montate sul petto per mezzo di una bardatura. Ora spuntano a comando direttamente dal corpo (e altrettanto fa il resto dell'armamentario) senza che Carter sia costretto a indossare nulla.

Questo aspetto, assieme all'aggettivo savage che da sempre etichetta il personaggio, fa pensare che l'idea di base del reboot si limiterà a fornirci una versione Wolverine-style dell'uomo-falco, con una svolta verso l'involontaria comicità nel momento in cui lo vediamo trasformarsi di punto in bianco da Carter a Hawkman.

La storia si apre con Carter Hall che sembra aver deciso di porre una divisione netta fa lui e Hawkman. Si disfa perciò dei vecchi bardamenti, e a questa azione seguono fiamme e lampi di luce senza una riga di spiegazione. Carter si ritrova a svegliarsi stordito in un magazzino, evidentemente adottato come abitazione.

Dietro a Hawkman compare
una presenza... di cui nulla si sa
Nel frattempo una spedizione scientifica ha recuperato dagli abissi dell'oceano una mummia aliena e Carter (in virtù di non si sa bene quale competenza scientifica, dato che lui è un archeologo) viene coinvolto nell'esame del reperto.

La mummia prende vita, al suono altisonante di frasi ridicole come "Io sono Morphicius" e allungando ovunque le sue propaggini liquide in stile Venom. Carter si scopre capace di trasformarsi in Hawkman, avviando con l'alieno un amichevole scambio di opinioni a suon di mazza ferrata.

I testi di Tony S. Daniel (che su Detective Comics sta lavorando benino) sono quanto di più stereotipo e svogliato si possa immaginare. Dialoghi piatti, spiegazioni rimandate al futuro ma senza indizi che rassicurino a sufficienza che questi chiarimenti siano davvero in programma.

L'unica cosa che regge l'albo è la parte grafica, che si mantiene però volutamente grigia (su atmosfere quasi deprimenti) fino al momento in cui Hawkman appare in tutto il suo splendore. E quando l'uomo-falco appare, risulta effettivamente tanto accattivante da rubare la scena a tutto il resto. Il resto? Quale resto?

Se siete dei fans del personaggio vale la pena dare ancora una occhiata ai numeri successivi, perché l'arte è davvero bella. Ma non c'è da dubitare che la corsa di questa serie sarà piuttosto breve se l'approccio ai testi non cambierà radicalmente.

DC Comics Reboot: The New 52 - tutte le recensioni

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